mercoledì 30 aprile 2008

Il casco algerino Gallet F1 di Algeri





La repubblica democratica d’Algeria è situata nel nord del continente africano nella regione prevalentemente desertica del Maghreb, al pari del Marocco e della Tunisia. Storicamente colonia francese, ha avuto un distacco traumatico dalla madrepatria negli anni ’50 del secolo scorso, culminato con l’epica battaglia di Algeri. La capitale Algeri, affacciata sul Mediterraneo, ha una popolazione che assomma a più di due milioni di unità nell’intera area metropolitana, una della maggiori del continente africano. L’amico Hassene mi ha promesso un periodo di servizio di 24 ore in una Unitè d’Intervention se solo riesco a raggiungerlo ad Algeri; qui i vigili del fuoco svolgono, a rotazione, un turno sull’ambulanza (Sanitaire o Medicalisè), un turno sul camion ed uno in caserma; i pompieri sono tutti professionisti, essendo completamente assente la componente volontaria.
Come tutte le ex colonie l’Algeria risente dell’influsso francese anche nel materiale pompieristico; durante l’occupazione infatti i vigili del fuoco erano dotati del classico Adrian cromato, contrassegnato da un meraviglioso fregio a medaglione (vedi foto in basso; ringrazio Gabriele per la cortesia); dall’indipendenza in poi si è continuato ad utilizzarlo, passando poi gradatamente ed in anni recenti al Gallet F1 versione cromo. Questo è l’esempio del casco in collezione, che si presenta in condizioni eccellenti. La sua particolarità sta nella placca che è caratterizzata dal simbolo della Protezione Civile, a cui appartengono i vigili del fuoco inquadrati nel Ministère de l’Interieur; qui, al contrario del classico colore blu, il triangolo è nero e reca all’interno un cerchio contenente la riproduzione in piccolo dell’originario emblema posto sull'Adrian, a raffigurare due mani che cingono una fiamma su campo ondulato. Sullo scudetto si trova una scritta il cui significato mi è tuttora ignoto, e a cui porrò rimedio appena possibile (magari qualche utente di questo blog mi potrà aiutare.. Fatto! C'è scritto "Al Uikaia Al Madania" e significa "Protezione Civile" - Grazie Mustafa!). Il fatto che le mani cingano la fiamma senza necessariamente spegnerla ha una valenza profonda: in queste regioni prevalentemente aride e scarse di vegetazione il fuoco ha un significato diverso da quello che gli attribuiamo noi, e il suo mantenimento è un’arte che fa la differenza tra la vita e la morte, tra i popoli del deserto; è incredibile ciò che riesce a fare un Tuareg con tre rami secchi, riuscendo a cucinare per sé e la sua famiglia e scaldarsi la tenda nella gelida notte sahariana, mentre noi cugini “ricchi” e circondati di boschi accatastiamo ciocchi nel camino. Sotto questo punto di vista anche il fuoco distruttore dell’incendio viene considerato più un padre degenere e da riportare a più miti consigli piuttosto che un nemico da annientare, anche se ovviamente la poesia cessa di affascinare quando una casa o una fabbrica rischiano di essere distrutte o una vita corre il pericolo di essere annientata dalle fiamme: in questo caso il prode Sapeur Pompier d’Algérie scatena tutti i litri d’acqua a sua disposizione per vincere la solita, eterna battaglia e... “Sauver ou Perir”…
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mercoledì 23 aprile 2008

Il casco di Hong Kong Pacific F3B





La città di Hong Kong, situata in un lembo di territorio cinese a statuto speciale a ridosso della provincia dello Shenzhen, è ritornata parte della Repubblica Popolare Cinese nel 1997, dopo 99 anni di dominazione britannica a cui venne temporaneamente ceduta; il suo nome significa “Porto dei profumi”. Dell’atmosfera britannica, almeno prima del trasferimento del possedimento ai cugini cinesi, conservava l’atmosfera “british”, i poliziotti “bobbies” con l’alto cappello blu, l’aplomb delle strade commerciali e finanziarie; subito girato l’angolo si trovavano vicoletti luridi con squallide trattorie abitate da anziani cinesi intenti a trangugiare velocissimamente ciotole di riso e carne sparandone il contenuto direttamente in esofago con movimenti fulminei delle bacchette, impugnate con consumata perizia come da chi ci è abituato fin dalla nascita; farmacie tradizionali con medicamenti di origine insolita (quando non inquietante) conservati in miriadi di boccette albarelle e barattoli; ateliers di agopuntura tappezzati di volantini dal significato ignoto; il tutto sotto un cielo di fili per stendere sovraccarichi tesi da una capo all’altro della via. Era strano precipitare così bruscamente da un capo all’altro del globo in poche decine di metri, e questo le dava un fascino che non ho mai dimenticato; imbarcandosi poi su un battello “ferry boat” in pochi minuti si giungeva dalla penisola di Kowloon all’isola di Hong Kong vera e propria, situata al di là del golfo ed in parte costituita da foresta tropicale, in parte edificata con grattacieli residenziali con un numero impressionante di piani concentrati su superfici tutto sommato modeste. Chi ci è stato dopo di me mi racconta che (saggiamente) la Cina non ha cambiato sostanzialmente nulla rispetto a prima, lasciando intatte buona parte delle realtà consolidatesi nei secoli precedenti.
La copertura territoriale del Fire Service, stante l’elevatissima concentrazione di persone per chilometro quadrato (gli abitanti di Hong Kong sono circa sette milioni), era ed è capillare, con decine di stazioni dotate di due-tre mezzi ed un paio di squadrette di vigili del fuoco. L’ottimo sito del servizio antincendio contiene una mappa che localizza, con fotografia, tutte le caserme di Hong Kong, in cui il Servizio svolge sia attività antincendio che di soccorso sanitario. L’equipaggiamento nella sostanza non è mutato dopo la transizione, e risente fortemente dell’impronta britannica, sia nei colori che nei gradi; il Fire Service come il Rescue utilizzano i validi caschi della neozelandese Pacific, modello F.., nei colori giallo per i vigili e qualificati e bianco per i graduati fino al Capo del servizio. Sul fianco recano la sigla che riporta alla caserma di appartenenza, nel mio caso si legge TLW, che corrisponde al nome Tung Lo Wan, situata sulla Causeway Bay, la via dello struscio e del commercio della città. Il fregio, che durante la dominazione britannica raffigurava un leone e la Corona della Regina in sommità, ora è composto di una corona di alloro a circondare un tondo con due asce, una fiaccola sovrapposta e la scritta “Fire Services – Hong Kong” con in cima il fiore di Bauhinia in vece della Corona; nel casco in mio possesso si tratta di un adesivo applicato, per cui è legittimo dubitare che, trattandosi di un casco di transizione, al di sotto si celi il vecchio fregio britannico. Le due strisce nere parallele che circondano la calotta gialla dell’elmetto contraddistinguono il Leading Firefighter, il vigile capo; a completare il tutto c’è un paracollo in tessuto nero e un robusto soggolo con mentoniera plastica. Ringrazio Hermann per avermi fornito questo bel casco di difficile reperibilità, usato ma in ottime condizioni.
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giovedì 17 aprile 2008

Il casco svizzero MSA Gallet F1 di Ginevra






Nelle fotografie si raffigura il casco celebrativo da ufficiale volontario dei vigili del fuoco della città di Ginevra, sostituito in collezione da quello descritto nel post che lo riguarda.
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venerdì 11 aprile 2008

Il casco danese Falck aziendale





In queste fotografie è raffigurato il casco danese Falck da vigili e qualificati nel colore bianco con blasone adesivo in fronte, che è stato sostituito in collezione dal casco da ufficiale nel colore arancione fluo oggetto di un post successivo. Questo viene mantenuto per fini documentaristici. Buona navigazione!
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giovedì 10 aprile 2008

Il casco italiano Mispa di Torino




 
Gli devo fare le mie più profonde scuse. Ieri sono entrato in studio e mi guardava pensieroso, dal posto d’onore che gli ho riservato sulle mensole ove trovano spazio (sempre meno: loro aumentano, lo spazio rimane quello) i miei caschi. Senza una parola come sempre, ma era offeso, si vedeva.
Lo conosco, ormai. E’ da anni che ci conosciamo, e insieme ne abbiamo passate tante; gli devo forse la vita, sicuramente qualche ammaccatura in meno. All’alluvione del 2000 mi ha riparato dai litri di pioggia che cadeva incessante nella Valsusa in cui ero distaccato, nella Cappella della Sindone bruciata undici anni fa mi ha protetto da cadute di calcinacci e urti contro tutte le sporgenze e ribassamenti che il Guarini aveva piazzato in quella maledetta, strettissima scaletta che portava al tetto sinusoidale della costruzione; alla Michelin di Cuneo in fiamme ha assistito impotente allo svanire delle mie forze mentre i fumi roventi e carichi di solfati invadevano i miei polmoni, sprovvisti di autoprotettore, ed ha seguito la mia uscita in extremis (credo che facesse il tifo per me); la sua visiera trasparente ha riparato la mia faccia estasiata mentre spegnevo macchine e cassonetti, sventravo auto con divaricatori e cesoie, rompevo vetri di case di sbadati nottambuli senza più le chiavi.
Me lo ricordo ancora il nostro incontro; giaceva di(s)messo nel magazzino generale, senza fregio e con l’interno strappato, tutto sfregiato e rigato. Ai miei occhi di ausiliario però era bellissimo, un casco tutto mio, per la prima volta dopo decine di cambi tra i due o tre a nostra disposizione; avevo dovuto racimolare una serie di favori promessi e millantati da scambiare con il magazziniere per avere un casco, e me ne uscivo felice con il MIO casco, pronto a tutto. L’opera di restauro, devo dire facilitata enormemente dal fatto di abitare a Torino, sede della ditta produttrice, era iniziata con la spesuccia fatta ipotecando parte della lauta paga da ausiliario; avevo trovato un interno nuovo, cosa non male vista la lunga vita produttiva del casco prima del nostro incontro, poi un fregio fiammante (in tutti i sensi), e soprattutto il consiglio alchemico per riportarlo ad una seconda giovinezza, cospargendone la superficie scarificata con un prodotto segreto, fabbricato in Malesia fondendo nidi di pipistrello gigante nero su fuoco di guano di Varano di Komòdo (anche se all’aspetto era lucido da scarpe…). Dopo la cerimonia di guarigione, svoltasi ovviamente in una notte di luna nera, avevo tra le mani un autentico capolavoro, nuovo di pacca, completissimo e soprattutto MIO, MIO, MIOOO!!
Devo quindi dire, dopo questo lungo preambolo, che è bastato scambiarci un’occhiata per capire il motivo del suo disappunto: “dovevi cominciare da ME, bastardo, il tuo blog!” ed ha ragione. Spero di ovviare in parte al torto cagionato con questo post, in cui ne descrivo e documento l’importanza fondamentale nella mia collezione, anzi nemmeno ne fa parte, della collezione. Lui è oltre, è semplicemente il mio casco da pompiere, e sugli scaffali ha la parte dell’anziano capofamiglia, quello a cui tutti i marmocchi di casa alla fine chiedono un consiglio e si siedono volentieri, con gli occhi rapiti e la bocca un po’ aperta ad ascoltare le storie che racconta, anche se ormai è “vecchio”. Anche quel pivello con la bocca sporca di latte del Sicor VFR2000, o quel cuginetto francese che a volte se la tira un pochino.

Il casco Mispa 1972 è l’erede di una dinastia di caschi che inizia negli anni che immediatamente precedono la seconda guerra mondiale, quando l’autarchia portò i vigili del fuoco a cercare un tipo di materiale in grado di rivestire il casco da pompiere unificato, il modello Nazionale 38; fino ad allora, la fine degli anni trenta del ‘900, erano in uso nei diversi Corpi comunali una serie di caschi differenti e costruiti su base locale con fogge abbastanza varie. Tra tutti forse il più diffuso era il modello Milano (oggetto di un prossimo post), ma erano presenti il Firenze, il Bologna, il Roma, tutti in cuoio con cresta, fregio e bandella laterale in ottone. La penuria di materie prime fece sì che il casco unificato in fase di sviluppo fosse rivestito con cuoio nero “autarchico”, cioè ottenuto conciando pellami di specie animali forse nemmeno conosciute, a rivestire una struttura di cartone pressato in una forma che ricorda la cornucopia rovesciata, anch’esso con cresta, banda laterale e fregio Nazionale in ottone, quest’ultimo riportante il numero di riferimento del Comando di appartenenza. Durante la guerra la situazione difficoltosa negli approvvigionamenti portò il servizio antincendi ad utilizzare fondamentalmente un po’ di tutto, dai vecchi Milano riverniciati in grigioverde, ai caschi mod. 33 metallici di derivazione militare, agli Adrian anche loro in tinta militare, e fece sì che si verniciasse col solito grigioverde anche il modello Nazionale 38, munendolo a volte di fregio autarchico in alluminio. Vista la scadente qualità dei materiali e l’utilizzo intensivo pochi esemplari di questo mitico casco sono giunti fino a noi, e lo rendono molto ricercato dai collezionisti.
La forma del Nazionale 38 venne vagamente ripresa dalla ditta Violini di Milano quando nei primi anni ‘50 dovette studiare un nuovo casco; la scelta del materiale cadde su un insuperabile impasto di fibre tessili e resina fenolica al posto del cuoio. Vide la luce quello che, immutato nella forma anche se prodotto da ditte diverse, verrà utilizzato fino ai primi anni del 2000 da decine di migliaia di Vigili del Fuoco nel loro duro e rischioso lavoro. L’interno del casco era in cuoio con fascia a contatto della testa e soggolo anch’essi in cuoio. La Pirelli, esauritasi la produzione Violini, riprese la stessa tipologia di elmo senza apportare modifiche di rilievo se non nel materiale utilizzato.
Alla metà degli anni ‘60 la palla passa alla Mispa di Torino, che rileva gli impianti Violini ed inizia la produzione del suo elmetto, inizialmente dotato di interno in pelle; in seguito, a partire dal 1972, “il Mispa” diventa quello che io ho utilizzato nella mia attività di pompiere, dotato di un interno in similpelle (garanzia di sudorazione continua), pesante e sbilanciato, fornito in taglia pressoché unica, la mitica II (io che porto il 59 ho dovuto ovviare artigianalmente alla strettezza della bardatura), con una visiera posticcia agganciata sui lati e soggetta a frequenti rotture; ciononostante un casco insuperabile, nonostante gli anni avanti coi tempi, che all’epoca veniva preso ad esempio dai paesi limitrofi. Il panorama europeo era desolante: la Germania era dotata di casco copiato ai limiti del plagio da quello bellico (e ripreso identico in Spagna e nei paesi dell’Europa del nord) che tra l’altro viene ancora utilizzato in numerosi Land tedeschi, idem la Francia con l’Adrian; l'Austria e la Yugoslavia portavano in intervento un pittoresco incrocio in alluminio nato dall'accoppiamento contro natura tra il modulo lunare Alfa e uno spremiagrumi; il Belgio utilizzava un casco in sughero pressato, come la Gran Bretagna; l’Olanda aveva un casco in metallo di disegno ottocentesco, il Portogallo spegneva gli incendi con un casco in ottone sbalzato, la Grecia con caschi in cuoio; il blocco orientale utilizzava nelle varie declinazioni il casco militare della Grande Madre Russia in metallo…
Negli anni ’90 logiche di appalti al massimo ribasso hanno fatto sì che si fabbricasse il casco VV.F. in vetroresina verniciata, facendo precipitare esponenzialmente la qualità rispetto all’originale impasto resina e tessuto: bastava un leggero urto (che in un mestiere come quello del pompiere è un’eventualità abbastanza frequente) e la vernice saltava rivelando il sottostante strato di un gradevole colore bianco o peggio azzurrino, creando una generazione di caschi leopardati da riparare prontamente a colpi di Uniposca sempre in tasca.
Adesso tocca al Sicor VFR2000 in uso dal 2003: bellissimo, ultratecnologico, molto più funzionale e comodo... però... per intenderci, io guardo ancora con nostalgia le poche Fiat Ritmo ancora in circolazione visto che è stata la mia prima macchina.
Nella foto in basso l'insegna della storica ditta Mispa con sede nella mia città, Torino. Campeggia sulla parete principale, accanto all'ingresso.
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mercoledì 9 aprile 2008

Il casco giapponese Kobayashi di Tokyo






Questo casco, come altri della collezione, è stato sostituito dal connazionale Sashiko antecedente, descritto nel relativo post. Questo tipo di casco è di tipo "Kabuto", è prodotto dalla Kobayashi Fire Protectives company Ltd., di Tokyo
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martedì 8 aprile 2008

Il casco Cromwell F500L della R.A.F.in Belize





Il Belize (già noto come Honduras Britannico prima della sua indipendenza) è uno stato dell'America Centrale istmica che si estende per 22.966 km² e ha una popolazione di 294.385 abitanti, la cui capitale è Belmopan: Il Belize è il secondo stato più piccolo dell'America Centrale (dopo l'El Salvador, la sua superficie è poco più piccola di quella della Toscana. Il Belize è una monarchia parlamentare e come buona parte delle ex colonie della Corona inglese fa parte del Commonwealth. L'area sulla quale si trova l'attuale stato del Belize era originariamente abitata da gruppi Amerindi a cui seguì la civiltà Maya: questa, originaria della penisola dello Yucatán, si diffuse nel Belize a partire dal 2500 a.C. raggiungendo il massimo splendore tra il 300 e il 900 (chiamato anche periodo classico), a quest'epoca risalgono gran parte dei siti archeologici del paese. A partire dal 1600 la costa e le isole del Belize divennero rifugio per i bucanieri britannici che, appoggiati dal governo inglese, compivano azioni di disturbo dei traffici commerciali spagnoli. Le attività piratesche proseguirono fino al XVII secolo quando divenne economicamente più interessante lo sfruttamento del legname. Nel 1862 divenne ufficialmente una colonia britannica sotto l'amministrazione del vicegovernatore della Giamaica e con il nome di Honduras Britannico; ne divenne indipendente nel 1984.

“Non sono più un collezionista, ero pompiere fino all’anno scorso quando un incidente mi ha costretto a lasciare la mia carriera; la commissione medica ha espresso parere negativo alla mia permanenza nei ruoli operativi dei vigili del fuoco; adesso cammino con le stampelle. Questo era il mio elmetto, ed è stato indossato in parecchi incendi in giro per il mondo, perché ero nel servizio antincendi dell’aeronautica militare, la RAF. Il peggiore incendio in cui l’ho portato era quello di Belize City, in centro America, quando abbiamo impedito all’intera città di bruciare completamente, dato che era costituita di edifici in legno costruiti molto vicini. L’ho anche portato in giro per le strade della Gran Bretagna quando i pompieri “civili” entrarono in sciopero ed i pompieri militari garantirono la copertura dell’intero territorio del Paese; io ero di stanza nella città di Cambridge. Adesso ho iniziato una nuova vita lontano dal servizio antincendio; i paesi in cui sono stato per servizio con il mio casco sono la Scozia, il Belize appunto, la Gran Bretagna e anche l’Italia, in Sardegna presso l’aeroporto militare di Cagliari Decimomannu.” Questa lettera accompagnava il casco che mi onoro di possedere nella mia collezione, e se devo essere sincero mi commuove un pochino ogni volta che la rileggo. L’ha scritta Stu, il proprietario originario di questo casco, appartenente al servizio antincendio dell’aeronautica militare britannica, la Royal Air Force. Appartiene al periodo in cui Stu prestava servizio nella base dell'Aeronautica inglese in Belize; qui a Ladyville, vicino alla capitale, dopo l'indipendenza la Corona continua infatti a mantenere un supporto militare. Stu lavorava in uno dei due equipaggi di cui era composto il servizio antincendi della base RAF, con il supporto di volontari appartenenti ai militari della vicina caserma, grazie al cui appoggio iniziale fu possibile garantire il servizio antincendi dell'aeroporto. I mezzi inizialmente erano due Range Rover a passo lungo tre assi modificate per il pronto attacco di incendi di aeromobili, a cui si aggiunse un mezzo aeroportuale.


Nel 1924 venne fondata la Helmets Limited, una ditta il cui fine era la realizzazione di caschi ed elmetti. tra cui inizialmente caschi coloniali in sughero; erano anni in cui i motociclisti andavano in giro con i capelli al vento, i minatori scendevano in miniera con i loro cappelli di feltro, ed i pompieri affrontavano i demoni delle fiamme con sontuosi e scomodissimi caschi in ottone lucido. Il concetto di casco di sicurezza era ancora ai primordi, mentre negli Stati Uniti la Bullard iniziava a proporre il suo Hard Boiled in tela irrigidita originariamente destinato all'uso minerario, sulla cui scia nel 1934 anche la Helmets Ltd, nel frattempo ribattezzata Cromwell Helmets dal nome del condottiero britannico, iniziò a produrre caschi antinfortunistici, aeronautici, antisommossa e da vigile del fuoco. Questo modello, l'F 500, in sé rappresenta un tipo di casco abbastanza diffuso, ma il coprivisiera arancione lo rende abbastanza raro ed inusuale, destinato a proteggerla dal calore e rinunciando completamente alla visuale che viene occultata dalla stoffa protettiva. Il casco, oltre alle bande da Leading Fireman (pompiere scelto) riporta sui lati il simbolo del Breath Apparatus Specialist, lo specialista in autoprotettori, il quadrato inscritto in un cerchio nero; ciò significa che la protezione oculare veniva assicurata dallo schermo della maschera respiratoria sempre indossata, da cui la possibilità di applicare la protezione alla visiera standard.

Qui si trova il sito da cui è tratta la foto del mezzo antincendio.
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lunedì 7 aprile 2008

Il casco francese Gallet F1 di Parigi



Nella collezione il Gallet F1 è stato sostituito dal modello da sottufficiale, che trovate nel post relativo. Questo viene conservato per fini documentari, in quanto raffigura il casco da Vigile.

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venerdì 4 aprile 2008

Il casco olandese Gallet F1 di Amsterdam





Il casco in collezione è stato sostituito con la versione attualmente in uso, che trovate qui.
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martedì 1 aprile 2008

Il casco Gallet F1

Il casco Gallet F1
Il casco Gallet F1 è nato dagli studi compiuti all’inizio degli anni ottanta dalla società francese Gallet in collaborazione con la Brigade des Sapeurs Pompiers de Paris (Brigata Zappatori Pompieri di Parigi - BSPP). I vigili del fuoco francesi erano fino ad allora dotati del casco storico, l’Adrian metallico cromato di derivazione militare, rivelatosi nel tempo assai poco efficace nella protezione del capo dell’utilizzatore, sia per la scarsa capacità protettiva dagli urti, dovuta ad una bardatura interna primordiale, sia per l’inefficacia nella resistenza al calore, dovuta alla trasmissività del metallo di cui era composto, sia per l’assenza di una copertura per il viso, a cui si era tentato di sopperire con la realizzazione di visiere in rete metallica fittissima. Con questi dati alla mano i pompieri di Parigi, da sempre riferimento per i vari corpi dipartimentali del resto della Francia, diedero mandato ad alcune aziende di intraprendere ricerche per trovare un degno sostituto. Tra esse si segnala la Mispa, azienda italiana con sede a Torino, fabbricante del casco italiano in onorato servizio nel Corpo Nazionale dagli anni settanta al duemila; alcuni prototipi di Mispa vennero forniti ai vigili del fuoco parigini, superando tutti i test iniziali ma venendo poi surclassati dal neonato casco F1, nettamente superiore per molti aspetti.

(nella foto: pompieri di Parigi nella fase di test del casco Mispa, variante francese. I colleghi indossano il classico modello Adrian cromato).

Il prototipo numero 3 (numero 6 secondo altre fonti) del nascituro F1 in configurazione pressochè identica a quella definitiva è stato fornito per test operativi alla 1^ compagnia del 2° raggruppamento della Brigata di Parigi il 20 agosto del 1985. La produzione seriale del casco F1 è iniziata nella seconda metà del 1985, e non si è mai fermata. La prima produzione generò molti caschi difettosi che vennero ritirati in blocco dal servizio in quanto la cromatura di rivestimento si era dimostrata poco resistente alle braci incandescenti. Risulta difficile reperire un casco di quell’anno, in quanto la quasi totalità di quella prima fornitura è stata riconvertita a secchiello per champagne con taglio della calotta e rimozione della bardatura interna.

(nella foto: raro Gallet F1 di produzione 1985, da notare la forma arrotondata degli occhiali da taglio e l'assenza di scritte sui lati; negli anni successivi comparirà la decalcomania CGF Gallet.)

Il casco F1, progenitore di tutti i caschi di ultima generazione denominati di tipo “europeo” a differenziarli da quelli di tipo “americano” che lasciano scoperti orecchie, collo e nuca dell’utilizzatore e che quindi necessitano di paranuca tessili, ha introdotto concetti automobilistici, motociclistici ed aeronautici nei dispositivi di protezione individuale del capo per i vigili del fuoco, portando l’”integrale” a proteggere il pompiere nel suo lavoro, avvolgendone la testa fino alla base del collo e fornendo protezione anche laterale. I suoi discendenti, a partire dalle versioni aggiornate dell’F1, oltre al Rosenbauer Heros, il Draeger HPS 6100, il Sicor VF2 e VFR 2000, il Cromwell F600, il Pacific F7 e gli altri, hanno tutti tratto ispirazione da quel progetto “marziano” che precorreva i tempi, generando il casco che ha avuto maggior diffusione a livello mondiale e che tuttora spadroneggia sul mercato, anche dopo che la Gallet è stata acquisita dalla americana MSA, azienda leader mondiale nella protezione del corpo e nell’antinfortunistica. Tuttora l’F1 viene prodotto nella sede francese di quella che una volta era la CGF, Compagnie Géneral de France, a Châtillon sur-Chalaronne nella regione dell’Ain, e tuttora viene assemblato a mano stante la complessità delle componenti e la delicatezza delle operazioni da compiere ed impossibili da automatizzare. Gli americani benevolmente sbeffeggiano questo casco da astronauta, dall’alto del loro Cairns in cuoio cotto della tradizione, tuttora sul capo di tanti eroici pompieri negli Stati Uniti e ben impresso nelle immagini dell’11 settembre: non credo abbiano mai indossato uno di questi caschi, che pesa la metà del loro… Attualmente è diffuso in oltre 85 paesi, nella maggioranza dei paesi europei (anche in Italia: i corpi provinciali di Trento e Bolzano, autonomi rispetto all’amministrazione centrale, lo adottano), in Africa, Asia, Canada, Sud America.

Caratteristiche
(nella foto una immagine esplosa dei pezzi che compongono l'F1S)

Composto da una calotta nervata in poliammide plastico sottoposta a bagno galvanico ramato e successiva cromatura lucida in spessore (la esegue l'officina Gueneau di Oyonnax, in Francia) per fornire una straordinaria protezione al calore, e da una bardatura interna morbida con inserti in poliuretano rigido nei possibili punti di contatto con il capo dell’utilizzatore per una massima protezione dagli urti, ha un sottogola regolabile con mentoniera che permette di assicurare il casco dopo averlo indossato e limita al massimo i movimenti dello stesso nell’utilizzo operativo. Il volto viene protetto da una doppia visiera retrattile, la prima (totalmente trasparente, oppure al 9% di doratura secondo le prescrizioni dei paesi anglosassoni, oppure al 43% di doratura per tutti gli altri) a protezione integrale dell’intera superficie del viso, la seconda a protezione oculare contro la proiezione di corpi estranei, ad esempio in fase di taglio con motodisco.

Modelli
Il classico Gallet è il modello F1S che è disponibile nelle taglie dalla 50 alla 58; esiste la versione a calotta allargata, detta F1E, che copre le taglie dalla 58 alla 64. In Svizzera (vedi post sul casco di Ginevra) ed in alcuni altri paesi tra cui alcune regioni della Spagna, o il Liechtestein, si utilizza la versione del Gallet tagliata all'altezza dei lobi delle orecchie, detta F1SA: le normative locali impongono infatti di lasciarli scoperti per permettere di sentire la temperatura esterna e non avere sensazioni uditive sfalsate.

(nella foto: elmo F1SA dei Bomberos della Galizia, in Spagna)

Dal 2008 il classico F1S sta essendo sostituito dalla versione F1SF, conforme alla direttiva EN443-2008 (che detta i requisiti di rigidità e resistenza per i caschi dei Vigili del Fuoco), che copre le taglie dalla 53 alla 63.

(nella foto: MSA Gallet F1SF dei pompieri francesi)

Colori
Nella stragrande maggioranza dei compartimenti francesi si utilizza il casco in versione cromata; dagli inizi del 2000 il distretto di Yvelines, vicino a Parigi (nel cui territorio si trova la Reggia di Versailles) ha adottato i caschi Gallet in colore, rosso per i vigili, giallo per i sottufficiali, bianco per gli ufficiali, verde per il Servizio Sanitario e arancione per gli istruttori flashover; nel dipartimento di Var si stanno adottando gli stessi caschi, mentre nei dintorni di Strasburgo vengono adottati caschi Gallet fotoluminescenti: la ragione è che il casco cromo risulta essere in alcuni casi trasduttore di elettricità, facendo venire meno i requisiti di resistenza e protezione. In Gran Bretagna i caschi Gallet F1 seguono la colorazione classica, vale a dire giallo per vigili e qualificati, bianco per i graduati;

(nella foto: CGF Gallet F1S giallo della Fire Brigade delle Isole Scilly, la più piccola del Regno Unito, gestita solo da personale discontinuo, unica nel suo genere. Si noti la visiera dorata al 9% tipica dei paesi anglosassoni)

in Germania si utilizza il fotoluminescente, che al buio brilla di verde; in Grecia abbiamo il cromato con blasone oro in rilievo; in Portogallo ci sono in giallo, rosso e bianco (pompieri, qualificati e graduati);

(nella foto: il magazzino dei Bombeiros di Maceira, in Portogallo.)

in Belgio si usano prevalentemente il bianco e il fotoluminescente, come in Olanda, dove però esiste anche la variante nera; in Lussemburgo i pompieri professionali della città usano anch'essi il Gallet fotoluminescente, mentre i volontari delle zone rurali hanno Gallet cromo con il blasone adesivo e la scritta G. D. Luxembourg sulla classica placca oro Sapeurs Pompiers; in Spagna si usa prevalentemente il casco Gallet nero, come nel caso di Madrid, con varianti in cromo (come per esempio nel Principato di Andorra, dove ha sostituito il vecchio MSA).

Il sito della MSA Gallet
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