Ognuno dei caschi presenti nella raccolta è affascinante e
ognuno di loro racconta una storia, che sia nuovo fiammante come il casco di
Parigi o sia distrutto come il casco di Myanmar, di prossima presentazione. Ci
sono caschi molto rari come quello di Praga o di Tunisi, famosi come quelli di
New York, anche se ovviamente il primo, direttamente fuori concorso, è il mio,
il Mispa utilizzato dal sottoscritto nei suoi anni operativi. Poi un giorno di qualche mese fa ti segnalano che forse quello in
vendita nella collezione in dismissione di un collezionista francese è un elmo italiano,
tu clicchi il link e ti compaiono le fotografie del Santo Graal, del
casco-chimera, quello visto solo in fotografia e nei musei. Dimesso, in mezzo ad altri
articoli pompieristici, dopo pagine e pagine di fregi e attrezzature, compare
il casco di tutta la vita, quello che nemmeno cercavi ma solo sognavi, e lo
riesci a riportare a casa, qui nella città dove ha prestato il suo lavoro quasi centocinquant’anni fa. Con grande emozione e soddisfazione sono diventato proprietario di un
casco modello “Torino”, quello che molti nemmeno sanno che sia esistito,
offuscato dal più famoso modello “Milano”, o il “Roma”, “Firenze” e “Bologna”,
tutti caschi noti e rappresentati nei vari cataloghi dell’epoca. Il “Torino”
non compare nella documentazione per la sua probabile origine mitteleuropea,
mai entrata in commercio in altre città al di fuori della mia.
Il servizio antincendi a Torino nacque il 27 luglio 1442 quando, dando l'incarico ad alcuni artigiani della città di costruire delle attrezzature utili all'estinzione degli incendi, si intese creare un organismo per la difesa civile della popolazione. Tra le arti chiamate dal governo cittadino a concorrere all'estinzione degli incendi, figurava anche quella dei brentatori; questi, nelle loro mansioni ordinarie, trasportavano il vino dai carri-botte alle botti degli osti con dei recipienti chiamati brente; da queste trae origine la denominazione di brentatori. Con i recipienti calzati a spalla questi, nei momenti di emergenza, trasportavano l’acqua dopo averla prelevata dai pozzi e dalle bealere, i torrenti urbani una volta così diffusi. Per accorrere più prontamente in caso di bisogno, essi abitavano tutti nei dintorni della chiesa di Santo Spirito, tuttora esistente in via Cappel Verde nel cuore della Torino antica, a due passi dal Duomo. Le sue campane, battendo a martello, avevano il compito di allertarli per l’incombente pericolo. Per dare manforte alle brente utilizzate per il trasporto dell'acqua sul luogo dell'incendio, bisognerà attendere la prima metà del Settecento perché si sostituissero delle macchine in grado di fronteggiare meglio e con un margine di successo l'incendio: le pompe a mano. Diventata capitale del Ducato Sabaudo, il 20 aprile 1786 il Re Vittorio Amedeo con un Regio Regolamento, stabilì le modalità di intervento e il comportamento degli uomini e delle pompe destinate all’opera di estinzione, nonché l’individuazione del personale, tra gli artiglieri del Corpo di Guardia alle quattro porte della città di Torino, e le norme del loro allertamento ad incendio avvenuto, creando così il “Corpo di Truppa senz'armi”, le Guardia-fuochi nel corposo numero di circa 150 unità operative. Quello che potrebbe definirsi il punto di partenza della storia dei pompieri di Torino, ebbe origine il 22 ottobre del 1824 con l'istituzione da parte del re Carlo Felice con le sue Regie Patenti, della Compagnia Guardie a Fuoco per la Città di Torino. Inizialmente l’organico era composto da 43 uomini: un Capitano, un Tenente, due Sergenti, otto Caporali, un Trombettiere e 30 Operai guardie; due anni dopo venne aumentato di sei unità più un Capitano Comandante e un Luogotenente. I componenti la compagnia erano prevalentemente artigiani e operai impiegati nelle diverse officine della città. Essi avevano l’obbligo di esercitarsi con le varie attrezzature tutte le domeniche mattina. Nel 1862, dopo il gravissimo incendio della Casa Tarino di via Po, che causò la morte di ben 17 persone tra i soccorsi e i soccorritori, il Consiglio Comunale adottò dei provvedimenti migliorativi, istituendo cinque stazioni di guardia, collegate telegraficamente con la Stazione Centrale di Palazzo Civico, e portando l’organico a 101 unità. Sempre nell’ambito di questi provvedimenti si installarono delle bocche d’acqua per il rifornimento idrico, distribuite nelle principali vie e piazze divennero circa 700 nel 1899. Tutte le stazioni furono dotate di una scala aerea costruita e brevettata dall’artigiano Paolo Porta. Questo nuovo tipo di scala a sfilo fu la prima nel mondo, e Torino venne così a disporre dal 1863, prima di altri corpi pompieristici, di un attrezzo di estrema importanza che determinava un nuovo modo di operare in caso di incendio negli alloggi ai piani alti delle case. Venne acquistato anche il primo apparecchio per ambienti irrespirabili, sostituito poi nel 1890 da uno più moderno inventato dal Cav. Luigi Spezia, comandante dei pompieri di quel periodo. Nel 1883 avvenne l’inaugurazione della storica Caserma delle Fontane di Santa Barbara, ubicata nell’antica strada di S. Barbara - poi Corso Regina Margherita- che fu per cento anni la Sede Centrale. Nello stesso anno venne acquistata la prima potente pompa a vapore “THIRION”, montata su di un carro a quattro ruote, con sospensioni a molla e trainabile da una pariglia di cavalli. Capace di una forza di 40 cavalli-vapore, era in grado di erogare circa 2000 litri al minuto. Dopo undici minuti dal momento dell'accensione della caldaia, si ottenevano le sette atmosfere necessarie per il normale funzionamento della pompa. Dal 1885, la gloriosa denominazione di Guardie-Fuoco venne abbandonata quando ormai questa non rispecchiava più il nuovo modello organizzativo. All’artigiano, che solo all’occorrenza veniva impiegato per il soccorso, si sovrapponeva la figura sempre più preparata del pompiere professionista, con un rapporto di lavoro di tipo stabile. Nacque così la Compagnia Pompieri di Torino, e si affacciava così una figura di pompiere sempre più preparato professionalmente, dotato non di sola forza fisica e coraggio, ma anche di capacità nell’utilizzare le attrezzature sempre più complesse che le industrie cominciavano ad approntare per questo specifico servizio. Un aspetto molto importante era dato dal rapporto di fiducia che si era instaurato con la gente, che aveva ormai familiarizzato con la figura del pompiere, apprezzandone il suo insostituibile ruolo all’interno della società; la gente lo sentiva come uno di loro, poiché era uno di loro, una persona del tutto comune capace però nei momenti critici di farsi carico della sicurezza della collettività. La Compagnia si presentava alle soglie del Novecento come un organismo efficiente, compatto e ben dotato di tutti gli strumenti che la tecnologia del tempo poteva offrire. Cominciava in definitiva ad affermarsi una figura di pompiere sempre più preparato con, non solo più forza fisica e coraggio, ma anche capacità nell’utilizzare le attrezzature sempre più complesse. Abbandonata quasi del tutto la trazione animale, nel 1907 il Corpo venne dotato delle prime quattro vetture con motore a benzina per il traino delle pesanti pompe a vapore e il trasporto del personale. La scelta, inevitabile, cadde su autoveicoli Fiat, modello “Camioncino” della potenza di 24/40 HP con trasmissione a catena; di due sole automobili si conosce il numero di targa: 63-1621 e 63-2143. Ma il grande salto tecnologico avvenne due anni dopo, con l’acquisto delle prime due autopompe in vista dell’Esposizione Universale di Torino del 1911, che rimase celebre nella storia delle esposizioni per la sua importanza. I tempi di intervento si ridussero drasticamente permettendo ai pompieri di giungere sul luogo del sinistro non più affaticati ma in grado di operare immediatamente e con la giusta determinazione. Finalmente l’acqua non veniva più spinta con la forza fisica o con il vapore, ma con potenti pompe mosse dai motori delle vetture, mentre il campo di attività si allargava sempre di più. Il fuoco non rappresentava più il solo nemico da “affrontare” e “combattere”: qualunque evento naturale e non che potesse alterare e turbare il normale andamento della vita quotidiana come una fuga di gas, una porta da aprire, un tram deragliato, un cavallo in difficoltà, un cane nel pozzo, vedeva accorrere i civici pompieri, che per ogni differente intervento dovevano disporre del giusto mezzo e della giusta attrezzatura.
Come accennato sopra, il casco in collezione è appunto il rarissimo e prezioso modello “Torino”: il fabbricante è ignoto, ed è entrato nella dotazione dei pompieri torinesi a partire dalla fine dell’ottocento, si pensa in concomitanza con il Congresso pompieristico internazionale del 1887 probabilmente in seguito ad un ordine effettuato a qualche ditta presente in esposizione, con lo scopo di dotare i Pompieri di un copricapo efficiente in sostituzione del berretto di panno da lavoro in uso fino ad allora. È rimasto in uso fino al 1924 quando è stato gradatamente sostituito dal modello “Milano” con il medesimo fregio. A partire dal 1938 è poi subentrato il modello Nazionale 38 che ha coperto gli anni della 2° Guerra mondiale fino agli anni cinquanta del ‘900, abbandonato con l’arrivo dei Violini e poi dei Mispa dal 1972. L’elmetto è realizzato in cuoio nero rigido con cresta superiore e profili in ottone, presenta aeratori cupolari e le falde posteriore e anteriore sono staccate, questo lo fa assomigliare ai modelli “Pickelhaube” per la sua foggia simile ai caschi tedeschi ed austriaci del medesimo periodo. Reca sui due lati i galloni da sottufficiale, ed il soggolo in cuoio viene fissato al corpo del casco da due rosette anch’esse in ottone: quella di destra ha una cannuccia porta piumetto, ed il concomitante fatto di avere il fregio frontale fissato con attacco a vite ha portato alla convinzione che sia destinato al duplice utilizzo operativo e da parata, permettendo al sottufficiale di apporre coccarda e piumetto per le occasioni ufficiali e poterli togliere facilmente in intervento per maggiore praticità, essendo il suo grado ben visibile grazie al gallone laterale. Sul frontale porta il meraviglioso fregio del Corpo di Torino, il blasone della Città con il toro e la torre soprastante; ai lati porta le tipiche asce incrociate ed in alto, in uscita dagli spalti della torre, la fiamma simbolo del nostro servizio.
Ringrazio l'ottimo Archivio Storico del Comando di Torino per le preziose informazioni e il titanico lavoro di conservazione e divulgazione del materiale inestimabile qui conservato e salvato da morte certa da un nutrito gruppo di volontari, da qui arriva la foto dei pompieri sul mezzo in cui si può notarne uno indossare il medesimo casco con la coccarda e, poco intelligibile, il piumetto. Dal sito "Miles Forum" ho tratto la foto del casco Milano che ha sostituito a metà degli anni '20 il "Torino", anch'esso con i galloni, in questo caso da caporale.
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